Vai al contenuto
29 gennaio 2012 / francesco

La morte di Hakim, ragazzo. Sette poliziotti a processo

Hakim come Federico Aldrovandi. Questo viene da pensare ripercorrendo la vicenda che ha portato nel 2008 alla morte violenta di Abdelhakim Ajimi, ventiduenne di origini tunisine, deceduto a Grasse, in Provenza, Francia sud-orientale. Anche lui morto dopo un fermo di polizia. Anche lui messo faccia a terra da più agenti, uno dei quali gli è salito sul dorso. Anche lui descritto come animato da una rabbia e da una violenza irrefrenabile. Nei giorni scorsi, dopo quasi quattro anni, è cominciato il processo per sette poliziotti, due dei quali, imputati per omicidio volontario, rischiano una pena massima di due anni con la condizionale. Gli altri devono rispondere di omissione di soccorso: per loro il procuratore ha chiesto tra i sei e gli otto mesi con la condizionale. Il giudizio è atteso per il 24 febbraio.

Ajimi è morto il 9 maggio 2008. Quel giorno era stato in banca, una filiale del Credite Agricole dove si era visto rifiutare la possibilità di prelevare del denaro. Da ciò è scaturito un accesso alterco con il direttore dell’istituto il quale, di fronte all’escandescenza del ragazzo, ha chiamato le forze dell’ordine. Una storia abbastanza ordinaria, che poteva finire lì, con Ajimi che si allontanava dalla banca. E invece no.

Uscito dall’istituto, infatti, Ajimi viene fermato da due agenti della Bac, la Brigata anti-criminalità, reparto della polizia francese impegnato in genere nel contrasto alla microcriminalità o nella gestione dell’ordine pubblico. I due agenti vogliono interrogarlo ma il giovane si mostra riluttante e non vuole fornire le generalità. Si passa allora alle maniere forti e nella colluttazione uno degli agenti viene ferito a una spalla. Ajimi viene ammanettato e immobilizzato pancia a terra. L’agente Walter Lebeaupin gli afferra il collo mentre il collega Jean Michel Moinier gli sale a cavalcioni sul dorso. Interviene anche un agente della polizia municipale che gli blocca le caviglie. Arrivano i vigili del fuoco, ma Ajimi non viene soccorso nonostante mostrasse segni evidenti di un possibile soffocamento. Nel corso dell’udienza, alcuni testimoni hanno parlato del colore violaceo del volto (per i poliziotti invece continuava a urlare e a essere rosso di rabbia anche quando hanno lasciato la presa), di come il ragazzo apparisse “molle” e incosciente mentre veniva sollevato da terra, trascinato come un corpo inerte su di una volante della polizia e portato verso il commissariato.

Abbiamo sentito dei peti e abbiamo pensato che si stesse prendendo gioco di noi. Mi scuso di dirlo qui, ma abbiamo riso” ha dichiarato Mireille Authier-Rey una dei quattro agenti che lo ha accompagnato in auto. Nessuno di loro ha immaginato che quelle fluatolenze in realtà fossero causate dal rilasciamento del corpo: Ajimi stava morendo e loro ridevano. Oggi sono ancora tutti in servizio.

Sul loro operato si è già pronunciata la Cnds, la Commissione nazionale di Dentologia della Sicurezza, organismo che ha il compito di vigilare sul rispetto delle regole deontologiche da parte delle forze dell’ordine, definendo “inumano” il trattamento riservato al ragazzo, nello specifico il modo in cui è stato trasportato al commissariato.

Ajimi è morto per una lenta asfissia meccanica. Secondo quanto stabilito a seguito dell’autopsia, a causare la morte è stato “un meccanismo di compressione del torace, associato senza dubbio a un’ostruzione delle vie respiratorie superiori (faccia al suolo)”. I due agenti si sono difesi affermando di aver applicato soltanto le tecniche apprese durante il periodo di addestramento. Ma sono proprie quelle tecniche ad essere messe sotto accusa, in quanto metterebbero seriamente a repentaglio la vita di chi le subisce, come affermato in un giudizio del 2007 della Corte europea per i diritti umani pronunciatasi sul caso di Mohamed Saud, anch’egli morto per asfissia dopo un “interrogatorio muscolare” nel 1998.

In un recente rapporto, Amnesty International ha denunciato la mancanza di inchieste efficaci per far luce sulle morti avvenute a causa dei metodi violenti della polizia. L’organizzazione per la difesa dei diritti umani ha citato cinque storie controverse, tra le quali quella di Ajimi. Le altre vittime sono: Abou Bakari Tandia, 38 anni, maliano; Lamine Dieng, 25, francese di origini senegalesi; Ali Ziri, 69 anni, algerino; Mohamed Boukrourou, 41 anni, marocchino. A quanto sembra, la polizia transalpina non ama accanirsi sui “francesi doc”.

Articolo pubblicato sul manifesto di sabato 28 gennaio

Lascia un commento